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Nel Centre Bell, i 22.500 spettatori, dopo aver acclamato le personalità pubbliche che hanno fatto il loro ingresso sotto lo sguardo delle telecamere e gridato ovazioni all’ospite speciale, una giovane cantante imitatrice di talento, Véronic DiCaire, compito arduo davanti ad un pubblico bollente di impaziente eccitazione, gli spettatori dunque acclamano “la loro” Céline anche prima del suo arrivo sulla scena. E quando infine appare, è in qualche modo il Québec tutto intero che si alza, grida, piange, sorpreso dalla propria reazione, scosso e in un’ammirazione compiaciuta. Céline Dion, in piedi al centro della scena, guarda incredula questa folla che la avvolge, la circonda e l’abbraccia in un’ondata emozionale incomprensibile a quelli che non appartengono alla società quebecchese.
In effetti, nessun’altra star contemporanea, nessun gruppo mitico, che si tratti dei Beatles, dei Rolling Stones, di Madonna, piuttosto che di Barbra Streisand, ha interpretato nella propria società il ruolo simbolico che è quello di Céline Dion in Québec. Tutte queste star inglesi o americane appartengono ad una cultura, una tradizione, a valori di paesi conquistatori e dominatori sul piano culturale. Gli americani non hanno mai avuto la sensazione che la riuscita mondiale di una delle loro star compensasse la loro incapacità di imporsi sul piano internazionale. I britannici non hanno atteso i Beatles o i Rolling Stones per assicurarsi la loro influenza culturale nel mondo. L’esistenza dei Beatles, gruppo che ha cambiato la musica popolare e incarnato la rivoluzione degli anni 60, quella della generazione dei baby-boomers occidentali, non ha fatto che accentuare il richiamo culturale per il loro paese d’origine. Quanto al gruppo irlandese U2, si iscrive nella tradizione di un piccolo paese certo, ma di lingua inglese e che ha prodotto grandi scrittori di reputazione mondiale come Oscar Wilde, W.B. Yeats, James Joyce e Samuel Beckett.

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