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Dubai, Rugby Club, 5 marzo 2008

Trambusto da battaglia nei camerini prima dello spettacolo. Tenuto d’occhio dalle guardie del corpo in djallaba, la testa coperta da un keffieh bianco e rosso, un gruppo di giovani donne, jeans aderenti, t-shirt firmate, borsa Vuitton in mano, orologio d’oro incastonato di diamanti al polso, penetra in un salone improvvisato attiguo al camerino di Céline Dion. “Sono così nervosa”, mi dice la più agitata. Mi informo. Si tratta delle principesse della corte di Giordania venute ad assistere allo spettacolo del loro idolo. I minuti passano. Céline come è sua abitudine si fa attendere, che ha come effetto far salire la tensione nella stanza. Lo stato febbrile è un elemento essenziale dell’attesa della star, che si tratti del papa, del presidente degli Stati Uniti, della regina d’Inghilterra o di una diva. Le giovani donne si parlano tra loro in arabo e in inglese, e sorridono discretamente ai membri dell’entourage della cantante, abituati a questa mise-en-scène. Céline infine appare, preceduta da Nick, una delle guardie del corpo. Il pomeriggio stesso si è fatta confezionare un lungo vestito tradizionale arabo giallo pallido animato da delicati ricami dorati sulle maniche e sul corpetto, che lei porta con eleganza. Nel scorgerla, le componenti della famiglia reale trattengono un grido di sorpresa, visibilmente affascinate. Céline prende l’iniziativa negli scambi di protocollo e riesce in pochi secondi a distendere l’atmosfera ampollosa che regna nella stanza. Come sempre, lei impone il tono, risponde gentilmente alle cortesie, osa qualche battuta inoffensiva e la corte della Giordania chiede di più. Una delle principesse, pantaloni neri e giacca di pelle, le fa i complimenti per la sua tenuta. E’ il mondo al contrario. Quella sera la più “principessa” era senza contestazione la quattordicesima figlia di Thérèse Tanguay e del fu Adhémar Dion, questi genitori celebrati dalla loro figlia, microscopici di fronte ai grandi e alle teste coronate di questo mondo.

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