Lo scrittore inglese Nick Hornby non è solo uno scrittore di successo, ma per certi versi è una vera e propria icona per una generazione, in particolare dalla pubblicazione del romanzo che lo ha consacrato al successo internazionale “Alta Fedeltà” (High Fidelity) del 1995; alcune delle sue opere poi sono state oggetto di trasposizione cinematografica, dal primo “Febbre a 90°” con Colin Firth (riadattato poi in America nella pellicola “L’amore in gioco”) ad “Alta Fedeltà”, fino a “About a boy” con Hugh Grant. Hornby è anche un critico musicale e nella sua carriera ha affrontato celebri artisti come Dylan e Springsteen.

Nella sua rubrica sulla rivista “Internazionale”, l’autore inglese pubblica oggi un articolo dal titolo “Céline Dion? Aiuto!” nel quale tesse le lodi del saggio “Let’s talk about love, a journey to the end of taste” di Carl Wilson, nel quale l’autore si chiede “Perché tutti odiano Céline Dion?”. In realtà quel tutti nojn è riferito a tutti davvero, dato che Céline, come nota Wilson, è una delle artiste che ha venduto di più nella storia della musica, ma si riferisce alla critica musicale e ad alcuni ascoltatori, che tendono a giudicare un’artista non tanto in base al talento, quanto in base al suo essere d’élite. Se una cantante è popolare, per forza di cose dev’essere quindi out e priva di talento. Più che priva di talento probabilmente ne è troppo dotata e quindi va snobbata, perché esserne i fans non sarebbe più qualcosa di elitario, essendo unanime il giudizio su di lei e saremmo solamente uno fra i milioni di fans in tutto il mondo. Ma cos’è più conformista, apprezzare una cantante amata da molti o sentirsi costretti ad amare dei cantanti meno pop(olari) per avere una parvenza di distinzione? E siamo davvero sicuri che i cantanti formalmente “non conformisti” siano meno pop(olari) degli altri? Chi vi scrive, drogato di Céline, ma al tempo stesso ascoltatore di cantanti cosiddetti elitari che conosciamo in quattro o cinque, una risposta la ha già.

Ecco uno stralcio dell’articolo:

Wilson si pone la domanda: “Perché tutti odiano Céline Dion?”. Solo che naturalmente non sono proprio tutti, giusto? Ha venduto più album di quasi ogni altro artista vivente. Tutti adorano Céline Dion, a pensarci bene. Quindi, in realtà, la domanda che si pone Wilson è: “Perché io e i miei amici e tutti i critici di musica rock e quelli che probabilmente leggeranno questo libro e riviste come questa odiano Céline Dion?”. Le risposte che dà sono profonde e provocatorie, e vi costringono a chiedervi chi cavolo siete veramente. Soprattutto se – come tanti di noi da queste parti – date un grande peso al consumo culturale come indicatore sia del carattere sia, diciamocelo, dell’intelligenza. Che fichi che siamo! Leggiamo Jonathan Franzen e ascoltiamo i Pavement, ma amiamo anche Mozart e Seinfeld! Urrà per noi! In pochi capitoli brevi e devastanti, Wilson ci sega le gambe a tutti, pure le sue: “Sono sempre gli altri a seguire le masse, mentre il nostro gusto riflette il nostro essere speciali”.

Il posto di Let’s talk about love nella vostra libreria è accanto al saggio di John Carey What good are the arts?: sono due approcci simili al tema della costruzione del gusto, anche se Wilson lascia più spazio a Elliot Smith e ai Ramones di quanto non faccia il professor Carey. E in un certo senso, misurarsi con Céline Dion è un esercizio più diretto e rivelatore che non misurarsi con i feticci della cultura letteraria, come ha fatto Carey. Dopo tutto, esiste un accordo di base sulla competenza letteraria – su chi sa mettere insieme una frase e chi no – che rende problematico rifiutare in blocco i valori critici in letteratura. Nella musica pop, però, entrano in gioco una serie di giudizi completamente diversi. Siamo disposti a salvare artisti che non sanno cantare o costruire una canzone o suonare uno strumento, purché siano alla moda, trasgressivi o ribelli: non snobbiamo Céline Dion perché è incompetente. In realtà, la sua competenza può addirittura essere un problema, perché significa che non esclude nessuno, a parte noi. E quelli che investono molto in capitale culturale non amano l’arte che non esclude: ci disorienta e non ci aiuta a incontrare persone attraenti dell’altro sesso che la pensano come noi.

L’articolo di Hornby ci dà poi anche delle informazioni interessanti, che forse sfuggivano anche a noi celinici purosangue:

Sapevate che in Giamaica Céline è amata soprattutto dai tipacci più violenti? “Ormai ho imparato che se mi trovo in un quartiere che non conosco, la voce di Céline Dion è il segnale per affrettare il passo”, spiega un critico musicale giamaicano.

Per chi in questo momento non è fra i fortunati di Las Vegas incontrandosi con i celinici di tutto il mondo ed aspettando di vedere apparire Sua Maestra, questo è il link per l’articolo:

http://www.internazionale.it/celine-dion-aiuto/

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