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La scelta di invitare i giornalisti quebecchesi all’altro capo del mondo corrisponde ad una volontà di René Angélil di assicurarsi che i suoi compatrioti, primi fan di Céline, non perdano mai contatto con l’idolo. Agli occhi del manager, i quebecchesi hanno diritto ad un trattamento di favore. Il figlio d’immigrati e la figlia di una delle ultime famiglie numerose del Québec tradizionale mantengono dei legami intensi, appassionati, morbosi con la loro società d’origine.
Il Québec è la matrice che ha fatto nascere la cantante. I quebecchesi hanno il culto delle loro vedette ed una adorazione particolare per i bambini vedette. Hanno scoperto Céline a 12 anni e non hanno cessato di accompagnarla in un percorso brillante in cui hanno creduto di perderla. Poiché Céline Dion, nell’immaginario quebecchese, è un bene nazionale allo stesso titolo degli altri simboli patrimoniali. Ci si è appropriati della “piccola Céline” e sono ancora in tanti ad utilizzare questa espressione, riduttiva per quello che lei è diventata, per il timore di rimanere spaesati davanti alla star troppo lontana da loro. Ma René Angélil veglia. Sembra ripetere ogni mattina il motto del Québec: “Io mi ricordo”. E’ un uomo per il quale la riconoscenza non è una parola vana. Alcun contratto commerciale gli farà perdere di vista che il Québec è la terra d’accoglienza, di ancoraggio e di rifugio eventuale della coppia. Il Québec è una specie di famiglia allargata che include anche i ribelli, le pecore nere e i nemici irriducibili. La stampa ha per lungo tempo oscillato tra l’idolatria di Céline e le denunce di una tale violenza che hanno rivelato delle nevrosi collettive, al punto che un giornalista quebecchese ha potuto scrivere: “Mi vergogno d’essere quebecchese quando ascolto cantare Céline Dion”.

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